mercoledì 27 novembre 2019

I leoni di Sicilia di Stefania Auci


Stefania Auci (Trapani 21 novembre 1974) 
Ha iniziato a scrivere ancora bambina fino ai tempi dell’Università. Dopo la laurea ha lavorato per un periodo in uno studio legale, tralasciando la sua vera passione, la scrittura, che ha ripreso quando si è dedicata all'insegnamento. Vive a Palermo con il marito e due figli. È insegnante di sostegno in un istituto tecnico alberghiero tra il quartiere Zen, una delle zone più difficili della città. Ha pubblicato il suo primo romanzo, Florence, nel 2015. Due anni dopo è seguito il saggio La cattiva scuola scritto con Francesca Maccani. Ha pubblicato anche due romanzi storici. Il successo è giunto con la pubblicazione de I leoni di Sicilia dapprima negli Stati Uniti, in Germania, Francia e Paesi Bassi. Soltanto nel 2019 è stato pubblicato in Italia dall’Editrice Nord. Attualmente sta lavorando al secondo volume della saga.
Trama
Dal momento in cui sbarcano a Palermo da Bagnara Calabra, nel 1799, i Florio guardano avanti, irrequieti e ambiziosi, decisi ad arrivare più in alto di tutti. A essere i più ricchi, i più potenti. E ci riescono: in breve tempo, i fratelli Paolo e Ignazio rendono la loro bottega di spezie la migliore della città, poi avviano il commercio di zolfo, acquistano case e terreni dagli spiantati nobili palermitani, creano una loro compagnia di navigazione… E quando Vincenzo, figlio di Paolo, prende in mano Casa Florio, lo slancio continua, inarrestabile: nelle cantine Florio, un vino da poveri – il marsala – viene trasformato in un nettare degno della tavola di un re; a Favignana, un metodo rivoluzionario per conservare il tonno – sott’olio e in lattina – ne rilancia il consumo… In tutto ciò, Palermo osserva con stupore l’espansione dei Florio, ma l’orgoglio si stempera nell’invidia e nel disprezzo: quegli uomini di successo rimangono comunque «stranieri», «facchini» il cui «sangue puzza di sudore». Non sa, Palermo, che proprio un bruciante desiderio di riscatto sociale sta alla base dell’ambizione dei Florio e segna nel bene e nel male la loro vita; che gli uomini della famiglia sono individui eccezionali ma anche fragili e – sebbene non lo possano ammettere – hanno bisogno di avere accanto donne altrettanto eccezionali: come Giuseppina, la moglie di Paolo, che sacrifica tutto – compreso l’amore – per la stabilità della famiglia, oppure Giulia, la giovane milanese che entra come un vortice nella vita di Vincenzo e ne diventa il porto sicuro, la roccia inattaccabile.
Liberamente tratto dal web

martedì 1 ottobre 2019

“Troppa memoria è pericolosa” (piccolo commento a Il Tunnel di Abraham Yehoshua)


In una recente intervista Abraham Yehoshua afferma che “In Israele ogni gruppo etnico afferma la propria memoria storica sacrificando il dialogo e la vita quotidiana (…) Siamo divisi in molti gruppi etnici e siamo esageratamente attaccati alla memoria, e non a quello che accade attorno a noi (…) La troppa memoria si trasforma in una barriera contro l’amicizia e la cooperazione tra persone”. Per Yehoshua quindi “Troppa memoria è pericolosa” e allora il protagonista de Il Tunnel è un uomo alle soglie della demenza, che sta per perdere la memoria e ritrovare la sua umanità. Zvi Luria ha lavorato una vita costruendo strade e tunnel, senza curarsi di dove passano e dove portano, delle persone che ci viaggiano e ci vivono vicino. Per evitare possibili problemi ha anche evitato di conoscere i dettagli personali delle vite dei suoi colleghi, di cui sa praticamente solo nome e cognome. Ma poi i nomi hanno incominciato a svanire dalla sua mente, numeri, indirizzi, avvenimenti e Zvi Luria è cambiato, ha abbassato le difese lasciandosi coinvolgere dagli avvenimenti e dalle persone. E’diventato empatico, ha incominciato a interessarsi alla vita delle persone che incontra e a volerle aiutare e proprio per aiutare un giovane ingegnere e una famiglia di palestinesi (e forse in qualche modo anche sè stesso) progetta il suo ultimo tunnel. Sul tracciato di una strada militare in progettazione infatti, si trova una collina, un luogo ricco di storia (un antico insediamento nabateo) e di vita, e dovrebbe essere distrutta, spianata, cancellata. Invece il tunnel, che passa sotto la collina, protegge chi vi abita, preserva il passato e nasconde il tutto alla vista di chi vi transita. Il tunnel è come la mente confusa e la memoria di Zvi che sta svanendo piano piano, consente di andare oltre gli ostacoli e i problemi. La malattia di Zvi Luria lo lascia senza ricordi, come nudo davanti al tunnel che è il suo futuro, ma non triste e disperato perché non è solo. Vicino a lui ci sono la moglie e i figli che lo amano di un amore saldo e immutabile. Come conclude Yehoshua “L’amore è il fulcro, il più prezioso elemento dell’anima umana (...) Cosa sarebbe l’essere umano senza l’amore”.

domenica 29 settembre 2019

Sonecka di Marina Cvetaeva

Marina Cvetaeva (Mosca 1892 – Elabuga 1941)     
Marina Cvetaeva nacque a Mosca, figlia di Ivan Vladimirovič Cvetaev, filologo e storico dell'arte, e Marija Aleksandrovna Mejn, eccellente pianista. Marina trascorse l'infanzia, insieme alla sorella minore Anastasija e ai fratellastri Valerija e Andrej, figli del primo matrimonio del padre, in un ambiente ricco di sollecitazioni culturali. Marina ebbe dapprima una istitutrice, poi fu iscritta al ginnasio, quindi, quando la tubercolosi della madre costrinse la famiglia a frequenti e lunghi viaggi all'estero, frequentò degli istituti privati in Svizzera e Germania per tornare, infine, dopo il 1906, in un ginnasio moscovita. Nel 1909 si trasferì da sola a Parigi per frequentare lezioni di letteratura francese alla Sorbona. Il suo primo libro, "Album serale", pubblicato ne 1910, conteneva le poesie scritte tra i quindici e i diciassette anni. Il libretto uscì a sue spese e in tiratura limitata, ciò nonostante fu notato e recensito da alcuni tra i più importanti poeti del tempo, come Gumiliov, Briusov e Volosin. Nel 1911 la poetessa si recò per la prima volta nella famosa casa di Max Volosin a Koktebel', una sorta di ospitale casa-convitto dove prima o poi soggiornavano tutti gli scrittori russi. Fu proprio durante la sua prima visita a Koktebel' che incontrò Sergej Efron di cui subito si innamorò e decise di sposarlo. Di lì a poco fu pubblicata la sua seconda raccolta di liriche, "Lanterna magica", e nel 1913 "Da due libri". Intanto, nel 1912, era nata la prima figlia, Ariadna (Alja). Le poesie scritte dal 1913 al 1915 avrebbero dovuto vedere la luce in un volume, "Juvenilia", che restò inedito durante la vita della Cvetaeva. Nel 1917 la Cvetaeva si trovava a Mosca e fu testimone della sanguinosa rivoluzione bolscevica di ottobre. La seconda figlia, Irina, nacque in aprile. A causa della guerra civile si trovò separata dal marito, che si unì, da ufficiale, ai bianchi. Bloccata a Mosca, non lo vide dal 1917 al 1922. A venticinque anni, dunque, era rimasta sola con due figlie in una Mosca in preda ad una carestia così terribile quale mai si era vista. Tremendamente poco pratica, non le riuscì di conservare il posto di lavoro che il partito le aveva "benevolmente" procurato. Durante l'inverno 1919-20 si trovò costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in un orfanotrofio, e la bambina vi morì nel febbraio per denutrizione. Quando la guerra civile ebbe fine, la Cvetaeva riuscì nuovamente a entrare in contatto con Sergej Erfron e acconsentì a raggiungerlo all'Ovest. Nel maggio del 1922 emigrò a Praga passando per Berlino e, nonostante fosse espatriata, la sua più importante raccolta "Versti I" fu pubblicato in patria. A Praga la Cvetaeva visse felicemente con Efron dal 1922 al 1925. Nel febbraio 1923 nacque il terzo figlio, Mur e in autunno partì per Parigi, dove trascorse con la famiglia i successivi quattordici anni.  In quegli anni il marito Efron, tornato in Russia, cominciò a collaborare con la GPU, partecipando tra l’altro all'uccisione del figlio di Trotskij. Dopo anni di assenza, spinta dalla miseria e dal desiderio dei figli di rivedere la patria, si decise a tornare in Russia. Sperava anche di ritrovare il marito, di cui si erano perse le tracce, ma scoprì che era stato arrestato e fucilato. Si ritrovò sola e senza aiuti, agli occhi dei suoi concittadini era una ex emigrata, una traditrice del partito. Nell'agosto del 1939 sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag, ancora prima era stata presa la sorella. Quando l'estate successiva cominciò l'invasione tedesca, la Cvetaeva venne evacuata ad Elabuga, nella repubblica autonoma di Tataria. Abbandonata da tutti e in totale miseria il 31 agosto del 1941 la Cvetaeva si impiccò. Lasciò un biglietto, poi scomparso negli archivi della milizia. Nessuno andò ai suoi funerali, svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino, e non si conosce il punto preciso dove fu sepolta.
Trama
Sonecka e Marina si conoscono tramite amici in comune. La prima è un’attrice, la seconda una scrittrice, l’amico in comune un poeta che ha dedicato dei versi a Sonecka. Il triangolo crea la tensione che porta avanti la relazione, almeno all’inizio. Marina è gelosa dell’attenzione che il poeta riserva a Sonecka: vorrebbe avere questa donna straordinaria solo per sé. E invece tutta Mosca se la contende. L’essenza di Sonecka è quanto di più diverso da quella di Marina: tanto la prima è volubile e vulnerabile, tanto l’altra è granitica e inscalfibile. Inevitabilmente tra le due donne si crea una relazione totalizzante, che finisce solo perché, a un certo punto, Sonecka si avvia “verso il suo destino di donna”, ossia verso un uomo. Marina però lo sa già, anche lei ha abbracciato il suo destino, dal 1912 è sposata con Sergei Efron. Il loro amore è estremamente moderno e libero da costrizioni: la donna, infatti, ha anche relazioni con altre persone, come con il poeta Osip Mandelstam, o con la poetessa Sofia Parnok. Negli anni della relazione con Sonecka, il marito di Marina è dato per disperso e la donna vive con le due figlie nella miseria. Suo unico sollievo, l’arte e gli artisti di cui si circonda. E, ovviamente, l’amore per Sonecka.
Liberamente tratto dal WEB

venerdì 21 giugno 2019

Il Tunnel di Abraham Yehoshua


Abraham "Boolie" Yehoshua (Gerusalemme 19 dicembre 1936) è uno scrittore, drammaturgo e accademico israeliano. E’ nato a Gerusalemme in una famiglia d'origine sefardita e vive ad Haifa nella cui università insegna Letteratura comparata e Letteratura ebraica. Suo padre, Yaakov Yehoshua, era uno storico, specializzato nella storia di Gerusalemme, mentre sua madre, Malka Rosilio, era giunta dal Marocco nel 1932. Yehoshua è stato sposato con Rivka, psicanalista specializzata in psicologia clinica, morta nel 2016. Ha una figlia, due figli e sei nipoti.
Dopo aver servito nell'esercito dal 1954 al 1957, Yehoshua ha studiato alla scuola Tikhonaime e si è laureato in Letteratura ebraica e Filosofia all’Università Ebraica di Gerusalemme. Ha incominciato a scrivere appena finito il servizio militare e ha pubblicato il suo primo libro, una raccolta di racconti, Mot Hazaken (La morte del vecchio), nel 1962. Ha avuto incarichi come professore esterno nelle Università di Harvard, Chicago e Princeton. Nel 2003 gli è stato conferito il Premio Letterario Internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa per La sposa liberata. Ha vissuto a Parigi per quattro anni, dal 1963 al 1967, lì ha insegnato e ha ricoperto anche l'incarico di Segretario Generale dell'Unione Mondiale degli Studenti Ebrei. I temi principali del pensiero e dell'opera di Yehoshua sono: la questione del rapporto tra popoli diversi, che hanno religioni e culture differenti, i rapporti familiari e l'amore coniugale, che non essendo fondato su un legame di sangue deve essere continuamente rimesso in gioco. Yehoshua viene spesso definito il simbolo della complessità ebraica: sentimenti amorosi, religione e fede, ideologia politica e routine quotidiana costituiscono un unicum nei suoi scritti e tutto ciò si trova sempre ben contestualizzato nella dimensione storica dello Stato d'Israele e nel mondo ebraico.

Trama
Zvi Luria, stimato dirigente in pensione dei Percorsi d’Israele uomo esemplare per buon senso, professionalità, rigore nel lavoro, pazienza e generosità nei rapporti con la sua famiglia amatissima, inizia a perdere le informazioni essenziali. Queste “vagano nella sua mente come un pesciolino nero”, incapaci di trovare un’uscita e quindi neanche il cellulare nel deserto del Negev, il controllo di un SUV, la strada di casa e, improvvisamente, anche quella di un’esistenza sino a quel momento appagante. Inizia a proiettare l’immagine della moglie Dina – pediatra di 64 anni, premurosa e decisa nei loro 48 anni di matrimonio – in donne più giovani che sono sue inquietanti e fascinose sosia e che a loro volta si moltiplicano e dissolvono in fantasmi femminili del passato. Donne che iniziano a parlare con la suadente voce femminile del navigatore, con l’accento coreano o giapponese incluso. Zvi Luria inizia a confondere Mosé con Giosué – cosa grave, anche per un ebreo non ortodosso – e a sbagliare: dimentica di prendere il nipote all’uscita dell’asilo, gli acquisti del supermercato, il codice dell’antifurto e come si accendono i fari, la stanza dell’amico all’ospedale, le porte. E poi dimentica che la Giulietta di Gounod bisogna ascoltarla seduti in platea, non finire dietro le quinte per metterla in guardia dall’errore fatale. E dimentica, in particolare, i nomi. Fagocitati dall’atrofia del lobo frontale destro, si volatizzano prima dei cognomi, eppure vengono perentoriamente richiesti, magari da tenaci ex-amanti rancorose, e finiscono scritti sul palmo della mano, come accade al nonno di Oskar in Molto forte, incredibilmente vicino.
Liberamente tratto dal web

martedì 28 maggio 2019

Anonimo Veneziano di Giuseppe Berto


Giuseppe Berto nasce a Mogliano Veneto il 27 dicembre 1914, secondo di cinque figli, da un maresciallo dei carabinieri, che per amore della moglie aveva lasciato l’Arma per aprire un negozio di ombrelli e cappelli. Frequenta il ginnasio nel locale collegio dei Salesiani e il liceo a Treviso, ma per lo scarso impegno e gli scarsi risultati il padre lo minaccia di non mantenerlo all’università. Per questo si arruola nell’esercito e contemporaneamente si iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Padova. Ben presto parte volontario per l’Africa Orientale, partecipando alla guerra di Abissinia, nel 1935, e combattendo come sottotenente in un battaglione di truppe di colore si guadagna un paio di medaglie al Valore Militare e qualche ferita. Tornato in patria, nel 1939, riprende gli studi e si laurea abbastanza in fretta “anche per la benevolenza di certi esaminatori che gradivano il fatto che si presentava agli esami in divisa, ostentando le decorazioni al Valore Militare”, come lui stesso racconta nel “Male oscuro”. Dopo la laurea insegna, prima Latino e Storia in un Istituto Magistrale, poi Italiano e Storia in un Istituto Tecnico per Geometri, ma ben presto lascia l'insegnamento e si arruola nella Milizia volontaria per la Sicurezza Nazionale. Inviato a combattere in Africa Settentrionale, dopo essere stato incorporato nel 6° Battaglione Camicie Nere "M", i fedelissimi di Mussolini, cade prigioniero il 13 maggio 1943 degli americani. E’ proprio durante la prigionia nel campo di internati in Texas che Berto inizia a scrivere. Ha come compagni di prigionia Dante Troisi, Gaetano Tumiati e Alberto Burri, che lo incoraggiano a scrivere nella rivista "Argomenti". Lì compone “Le opere di Dio” e “Il cielo è rosso”, poi nel 1951 “Il brigante”. Trasferitosi a Roma, comincia a lavorare per il cinema: in questo periodo escono nel 1955 “Guerra in camicia nera” e nel 1963 il volume di racconti “Un po’ di successo”. Nel 1958 Berto cade in una grave forma di nevrosi, ne uscirà dopo tre anni di analisi quando compone “Il male oscuro”, che vince contemporaneamente nel 1964 il Premio Viareggio e il Premio Campiello. Si aggiungono poi il dramma “L’uomo e la sua morte” (1963), “La Fantarca” (1964), e il romanzo “La cosa buffa” (1966). Nel 1971 scrive il pamphlet “Modesta proposta per prevenire” e il lavoro teatrale “Anonimo Veneziano”, ripubblicato come romanzo nel 1976. Con la favola ecologica “Oh, Serafina!” vince nel 1974 il Premio Bancarella. Dal dramma “La passione secondo noi stessi”, Berto matura l’idea portante del suo ultimo libro “La gloria” del 1978. Si spegne a Roma il 1 novembre 1978. E’ sepolto a Capo Vaticano.

Trama
Il libro è ambientato in una Venezia invernale e narra la storia di un musicista afflitto da una malattia incurabile che decide di rivedere la donna che ha amato in passato e che ancora pensa di amare. I due protagonisti si perdono e si ritrovano come dei maturi Romeo e Giulietta attratti l’uno dall’altro in gioventù, senza poi riuscire a trasformare questo amore passionale in un amore più adulto. Entrambi con un animo ardente e imprevedibile, si sono amati di un amore carnale e disperato, litigioso, infedele, almeno da parte dell’uomo. Si sono sposati perché lei era incinta e si sono separati perché a un certo punto sempre lei non riusciva più a sopportare le sregolatezze dell’uomo, il suo scialacquare un limpido talento di musicista. Vagando come anime perdute in una triste e malinconica città lagunare ricordano i bei tempi passati, mentre la città fa da testimone ai loro bisticci, alle loro piccole crudeltà reciproche, al loro amarsi ancora nonostante tutto. Il libro è nato quasi per caso da un suggerimento di Enrico Maria Salerno, che da un proprio soggetto voleva trarre il suo primo film. Giuseppe Berto si impegnò a scriverne i dialoghi e si appassionò tanto da lavorarci su per mesi e anni, fino a trasformarli in un fortunato testo teatrale prima e poi in uno straordinario romanzo breve che conquistò i suoi lettori.
liberamente tratto dal web


domenica 24 marzo 2019

Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer


Jonathan Safran Foer (21.02.1977)
Foer è nato a Washington, D.C., figlio di Albert Foer, avvocato e presidente dell'American Antitrust Institute, e di Esther Safran Foer, figlia di sopravvissuti all'olocausto in Polonia. Ha frequentato la Princeton University, dove gli sono stati assegnati vari premi di scrittura creativa, e prima di cominciare a scrivere ha frequentato per un certo periodo la Mount Sinai School of Medicine. Nel 1999 si è spostato in Ucraina per fare ricerche sulla vita di suo nonno. Questo viaggio ha ispirato il suo romanzo d'esordio, intitolato Ogni cosa è illuminata, dal quale è stato tratto un film nel 2005. Anche dal suo secondo romanzo Molto forte, incredibilmente vicino è stato tratto un film che ha riscosso un notevole successo. Foer ha poi scritto Se niente importa, in cui descrive l'impatto ambientale degli allevamenti intensivi, le sofferenze patite dagli animali da macello e la sua decisione di diventare vegetariano. Nel novembre 2010 ha pubblicato Tree Of Codes, un'opera realizzata ritagliando parole di un libro già esistente (The street of crocodiles di bruno Schulz) e nel 2016 il suo nuovo romanzo Eccomi.
Trama
Molto forte, incredibilmente vicino è stato uno dei primi romanzi ad affrontare il tema degli attacchi terroristici dell'11 settembre. Il libro interseca sostanzialmente due storie che si alternano: quella di Oskar Schell un ragazzino di nove anni e dei suoi nonni paterni. Oskar ha un dolore incolmabile: ha perso il padre, Thomas, nell'attentato alle torri gemelle dell' 11 settembre 2001. Oskar è un ragazzo sveglio, creativito, fantasioso, sensibile e curioso. Frugando nel ripostiglio del padre, dentro ad un vaso trova una chiave con una scritta: Black. Si mette a cercare tutti i Black di New York per sapere a chi appartenga e cosa apra. Organizza i nomi in un elenco, divisi per quartieri e comincia a far visita ad ognuno di loro. Dopo ricerche ed incontri strani verrà a capo dell'apparente e banale mistero. Più complesso l'intreccio della storia dei nonni. Oskar vive con la madre Linda e la nonna paterna. Il nonno paterno non l'ha mai conosciuto così come Thomas non aveva mai conosciuto suo padre. La nonna di Oskar era emigrata in America dalla Germania poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. Qualche mese dopo il suo arrivo, camminando per New York, aveva incontrato, per caso, il fidanzato della sorella Anna morta a Dresda in un bombardamento. L'uomo, distrutto da quella perdita, aveva smesso di parlare e comunicava solo scrivendo sui diari e mostrando i palmi delle mani su cui ha tatuato le parole "SI" e "NO". La donna gli chiede insistentemente di sposarla. Lui è riluttante ma acconsente stabilendo rigide regole di convivenza e delimitando con delle strisce sul pavimento gli spazi della casa ciascuno destinata ad una precisa funzione. Lei però desidera un bambino e alla fine rimane incinta ma fa di tutto per nasconderlo. Quando costretta dai tempi, glielo comunica, lui non regge e fugge. Solo decenni dopo, quando troverà tra l'elenco delle vittime delle torri il nome del figlio, si ripresenta alla porta della moglie. Lei è turbata ma non lo scaccia, lo costringe però a rimanere in incognito nell'appartamento, come "l'inquilino" e gli fa promettere di non farsi vedere e soprattutto di non farsi riconoscere dal nipote. I due però finiscono casualmente per incontrarsi. La vita è più spaventosa della morte" confesserà in incognito all'ignaro nipote davanti alla bara vuota del figlio, riesumata da entrambi di nascosto una notte, e che riempirà con le centinaia di lettere che gli aveva scritto e mai spedite.
Liberamente tratto dal web

sabato 23 febbraio 2019

Questa è l'acqua di David Foster Wallace



David Foster Wallace (1962 - 2008)
 
David Wallace nacque ad Ithaca (NY) da James Donald Wallace e di Sally Jean Foster. Nel 1985 si laureò all'Amherst College in letteratura inglese e filosofia, con una specializzazione in logica modale e matematica. La sua tesi sulla logica modale, intitolata Richard Taylor's 'Fatalism' and the Semantics of Physical Modality  fu premiata. Nel 1987 ottenne un Master of Fine Arts in scrittura creativa alla University of Arizona. Insegnò alla Illinois State University per gran parte degli anni novanta e nell'autunno del 2002 diventò professore di scrittura creativa e letteratura inglese al Pomona College, in California. Il suo romanzo d'esordio del 1987, La scopa del sistema, si ispira alla sua seconda tesi universitaria. La critica notò subito il talento di Wallace che, a soli venticinque anni, si distingueva per lo stile ironico, complesso e acuto. Nel 1989 uscì negli Stati Uniti La ragazza con i capelli starni, una raccolta di racconti che tocca temi tipici di Wallace e fu considerata un suo manifesto poetico e stilistico. Il secondo romanzo, Infinite Jest, del 1996 fece diventare Wallace un autore di culto internazionale. Il romanzo, considerato il capolavoro dello scrittore statunitense, descrive la complessità della società contemporanea: le difficoltà nei rapporti interpersonali, l'uso delle droghe, il ruolo sempre più importante del mondo dello spettacolo, dei media e dell'intrattenimento, l'esasperata competizione sociale raccontata attraverso il tennis, sport praticato a livelli agonistici dallo stesso autore.
David Wallace soffrì di depressione per oltre vent'anni e solo la cura a base di antidepressivi che seguiva gli permetteva di essere produttivo. Gli effetti collaterali dovuti ai farmaci che assumeva lo indussero, nel giugno 2007, ad interrompere la terapia a base di fenelzina. Wallace provò diverse cure alternative e infine tornò alla fenelzina, ma questa non gli faceva più effetto. Il 12 settembre 2008, a 46 anni, Wallace scrisse un messaggio di addio di due pagine, corresse parte del manoscritto di Il re pallido e si impiccò ad una trave di casa sua in California. Il corpo fu rinvenuto dalla moglie, Karen Green.
Nell'inverno del 1996 il giornalista di Rolling Stone David Lipsky fece un viaggio di cinque giorni insieme Foster Wallace per intervistarlo. L'intervista non sarà mai pubblicata e le cassette audio, dove raccontano le loro ambizioni e aspirazioni e la nascita di una breve ma intensa amicizia, finiranno in uno scantinato di Lipsky. I due non si incontreranno più e solamente dopo il suicidio di Wallace Lipsky deciderà di raccontare in un libro, Come diventare se stessi, quel viaggio e quell'amicizia. Dal libro è stato tratto il film del 2015 The End of the Tour - Un viaggio con David Foster Wallace.

Trama
 
Il 21 maggio 2005 David Foster Wallace tenne un discorso ai neolaureati del Kenyon College. Il titolo This is water deriva dalla storiella apologetica con cui si apre il discorso: Ci sono questi due giovani pesci che nuotano e incontrano un pesce più vecchio che nuota in senso contrario e fa loro un cenno, dicendo: «Salve ragazzi, com’è l’acqua?» e i due giovani pesci continuano a nuotare per un po’ e alla fine uno di loro guarda l’altro e fa: «Che diavolo è l’acqua?». Il senso della storiella è che le realtà più ovvie spesso sono anche le più difficili da vedere, proprio perché ci siamo immersi dalla nascita, come i pesci nell’acqua. Il resto del discorso è invece dedicato al ruolo dell’educazione e dell’istruzione, che hanno il compito di insegnarci a pensare: non come pensare ma a cosa pensare. Ci insegnano cioè a uscire da una modalità standard di ragionamento e a raggiungere la consapevolezza di ciò che è importante. I sei racconti di "Questa è l'acqua", scritti tra il 1984 e il 2005, offrono uno sguardo di insieme sulla straordinaria avventura artistica di Wallace, e una summa delle sue tematiche e dei diversi stili con cui le ha affrontate ed esaltate. La depressione, vivisezionata nelle sue spietate dinamiche nel doloroso e commovente "Il pianeta Trillafon in relazione alla Cosa Brutta"; la ricerca di una nuova maturità ed equilibrio nel discorso tenuto davanti agli studenti del Kenyon College, che dà il titolo alla raccolta; il sentimento amoroso in tutte le sue possibili declinazioni, tra goffaggine, tenerezza, crudeltà, nelle due novelle "Solomon Silverfish" e "Ordine e fluttuazione a Northampton"; l'adolescenza come stagione della vita in cui ricerca d'identità e perversione finiscono per coesistere, in "Altra matematica"; le nuove complessità del mondo globale e il crollo di ogni logica binaria, nel piccolo gioiello "Crollo del '69".