giovedì 20 dicembre 2018

Canale Mussolini di Antonio Pennacchi


Figlio di coloni provenienti da Umbria e Veneto e giunti nel Lazio per la bonifica dell'Agro Pontino Pennacchi è parte di una famiglia numerosa con sette figli. Si dedica alla politica sin da giovanissimo, iscrivendosi al MSI , ma ne viene presto espulso per contrasti con i vertici del partito. Dopo una lunga riflessione si avvicina al marxismo e partecipa alla contestazione del Sessantotto. Nel frattempo inizia a lavorare come operaio alla "Fulgorcavi" di Latina, dove rimarrà per oltre trent'anni. Alla fine degli anni '70 entra nel PSI e quindi nella CGIL, dalla quale viene espulso. Entra allora nella UIL, passa al PCI e di nuovo alla CGIL, da cui è espulso nuovamente nel 1983. Lascia quindi la politica e si laurea in lettere all'Università di Roma "La Sapienza" sfruttando un periodo di cassa integrazione. Inizia così l'attività di scrittore. Il suo romanzo di esordio, Mammut, riceve 55 rifiuti da 33 editori prima di essere pubblicato da Donzelli nel 1994. Nel 1995 esce Palude, dedicato alla sua città, e Una nuvola rossa (1998). Nel 2003 esce l'autobiografico Il fasciocomunista da cui è stato  tratto il film Mio fratello è figlio unico. La pellicola ha avuto un successo sorprendente al botteghino e ha vinto un premio speciale al festival di cannes, ma lo scrittore ha fortemente polemizzato con il regista perché nella seconda parte del film la trama del libro è stata stravolta. Dello stesso anno è la raccolta di saggi Viaggio per le città del Duce  e del 2005, invece, i saggi de L'autobus di Stalin. Nel giugno del 2006 esce la raccolta di racconti Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni. Pennacchi collabora alla rivista Limes. Dal 2007, l'autore è impegnato in un progetto che prevede la scrittura del romanzo Cronache da un pianeta abbandonato, attraverso la partecipazione e la collaborazione di autori sconosciuti. Nel 2008 è uscito il saggio Fascio e Martello, in cui descrive le città fondate nel periodo fascista in tutta Italia. Il 2 marzo 2010 è uscito Canale Mussolini. Il libro, definito dall'autore come "l'opera per la quale sono venuto al mondo", ha vinto numerosi premi. Nel 2012 si lancia in un nuovo progetto: Pianura Blu per il recupero dei canali di bonifica dell'Agro Pontino e per la creazione di una rete ciclonavigabile, con il sostegno della Sapienza Università di Roma e di diverse amministrazioni locali. Nel 2013 esce il suo primo romanzo di ambientazione fantastica, Storia di Karel. Nel 2015 esce Canale Mussolini, parte seconda.
Trama
Il titolo trae il nome dal principale canale di bonifica dell'Agro Pontino, chiamato all'epoca Canale Mussolini e oggi Canale delle Acque Alte. Il romanzo copre un arco temporale che va dagli anni dieci del Novecento alla Seconda Guerra Mondiale. Protagonista è la famiglia Peruzzi, contadini che vivono nella bassa Pianura Padana, dove coltivano terre prese in affitto o a mezzadria. Nel 1904 il nonno, capostipite della famiglia, assiste ad un comizio non autorizzato del  socialista Edmondo Rossoni e viene incarcerato insieme lui. I due presto diventano amici e il nonno aderisce al socialismo battezzando i figli coi nomi dei leader della sinistra dell'epoca. Nel primo dopoguerra la famiglia è coinvolta negli scontri fra squadristi e socialisti. Questi ultimi, per ritorsione contro i Peruzzi che non avevano voluto assumere alcuni braccianti, decidono di dar fuoco al loro pagliaio. I Peruzzi si vendicano sparando al maestro elementare del paese, capo del locale movimento socialista, ed incendiando la camera del lavoro di Codigoro. Alcuni dei Peruzzi parteciperanno anche alla marcia su Roma nel 1922 e, poco dopo, Pericle viene incaricato dal Partito, insieme ad altri due camerata, di picchiare un coraggioso sacerdote antifascista della vicina Comacchio. Nel frattempo la famiglia, che si va allargando con nuovi matrimoni e nuove nascite, prende a mezzadria i terreni dei conti Zorzi Vila. Quando però nel 1926 il governo di Mussolini, propone una nuova politica economica durissima, gli Zorzi Vila ne approfittano per sottrarre alle famiglie al loro servizio tutti i loro averi. La sciagura colpisce anche i Peruzzi, i quali decidono di mandare una loro delegazione a Roma: contano di ricevere il sostegno del governo per il loro passato da squadristi. Incontrano proprio il Rossoni, che nel frattempo ha aderito al fascismo diventando sottosegretario il quale fa capire loro che non può far nulla contro gli Zorzi Vila ma può affidare ai Peruzzi un podere tutto loro nelle Paludi Pontine che il regime sta iniziando a bonificare. I Peruzzi accettano e partono per il Lazio. Vengono insediati nei poderi 516 e 517 dell'Opera Nazionale Combattenti, alla sinistra del "Canale Mussolini", il principale canale della bonifica. Nel dicembre del 1932 assistono all'inaugurazione della nuova città di  Littoria. La vita dei coloni nella nuova terra però è piena di difficoltà: i lavori di bonifica non riescono a sterminare la zanzara anofele e la malaria continua a colpire. Gli abitanti del luogo poco gradiscono i nuovi arrivati che ribattezzano cispadani cioè invasori (i coloni reagiscono chiamando i locali marocchini) e non mancano scontri e vendette reciproche. Nel frattempo la coltivazione della fertile terra dei Peruzzi permette loro di risollevarsi economicamente. La famiglia partecipa attivamente alla vita rurale dei coloni con i suoi riti: i filò fra vicini di poderi e la Messa ogni domenica nelle chiese che vengono affidate ai preti veneti perché i sacerdoti della locale diocesi non riescono a comprendere il dialetto dei cispadani. Nel 1935 Adelchi partecipa alla guerra di Etiopia e con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale diversi giovani dei Peruzzi vengono mandati al fronte. In Africa Orientale Pericle muore ma il suo corpo non verrà mai ritrovato. Sua moglie, Armida inizia una relazione incestuosa con il nipote Paride. Rimane incinta di un bambino e i Peruzzi per la vergogna la cacciano di casa. Per via della guerra e della gravidanza però le concedono momentaneamente di restare. Nell'inverno del 1944 gli Alleati, nel tentativo di sfondare la linea Gustav, sbarcano ad Anzio e iniziano una lunghissima battaglia con i tedesch. Per ritardare l'avanzata alleata vengono sabotate le opere di bonifica e la battaglia si combatte anche sul Canale Mussolini. I coloni, Peruzzi compresi, credendo che gli americani vogliano togliere loro i poderi e per lealtà verso il duce, decidono di sostenere i tedeschi e i repubblichini, arrivando a sparare fucilate contro le pattuglie alleate. Poi quando la linea del fronte si stabilizza a poca distanza dai loro poderi sono costretti dallo stesso comando tedesco ad abbandonare le case e a rifugiarsi sui Monti Lepini. Le comuni difficoltà della guerra aiutano cispadani e marocchini a superare le reciproche diffidenze. L'Agro Pontino viene infine liberato a maggio del 1944. Gli americani si rivelano benigni e grazie al DDT estirpano la zanzara anofele dalla regione. I Peruzzi ritornano nei loro poderi distrutti e iniziano la ricostruzione, più forti e tenaci anche nella sciagura.

giovedì 8 novembre 2018

La sovrana lettrice di Alan Bennett


 
Alan Bennett è nato a Leeds (1934) e precisamente nel quartiere operaio Armley. Figlio di un macellaio, dopo gli studi secondari ha vinto una borsa di studio ad Oxford presso l'Exeter College, dove si è laureato in storia e dove è rimasto per diversi anni come ricercatore e docente di storia medievale, finché non ha abbandonato il mondo accademico per dedicarsi al teatro. Nel 1960, ha esordito come attore e coautore dello spettacolo Beyond the Fringe. Nel 1968, a Londra è andata in scena la sua prima commedia: Forty Years On. È del 1996 la sua commedia La pazzia di Re Giorgio, che lui stesso ha sceneggiato per la trasposizione cinematografica del 1994. Nel 2004 è avvenuta la prima rappresentazione della commedia The History Boys (Gli studenti di storia), che ha vinto 6 Tony Award e da cui, nel 2006, è stato tratto l'omonimo film. Tra i suoi lavori più celebri spicca anche la serie di monologhi Talking Heads (Signore e signori) (1988 - 1998), nei quali rientrano Una patatina nello zucchero, La grande occasione e Un letto fra le lenticchie, resi poi celebri nel panorama teatrale italiano grazie alle interpretazioni dell'attrice Anna Marchesini.

Trama

Arrivata quasi all’età di ottant’anni, la Regina Elisabetta II scopre la lettura. Per tutta la vita i libri l’hanno circondata, stipati nei polverosi scaffali delle biblioteche dei palazzi regali, ma lei non ha mai conosciuto il piacere della lettura. Lo scopre un giorno, per puro caso, quando i suoi cani dopo essere rientrati ritornano in cortile e iniziano ad abbaiare. Abbaiano a un furgone, “grande come quello dei traslochi”, parcheggiato di fronte alle cucine del palazzo. È la biblioteca circolante del distretto di Westminster; Sua Maestà non l’ha mai vista lì davanti e, dato il baccano provocato dai cani, sale gli scalini per andare a scusarsi. Conosce così il signor Hutchings, il bibliotecario, e un giovanotto bruttino dai capelli rossi, di nome Norman, che lavora nelle cucine del palazzo reale e divora libri. Vincendo la propria iniziale diffidenza, la regina chiede in prestito un libro, più per gentilezza che per reale interesse, ma da quel momento in poi tutto cambia. La sovrana, conquistata pagina dopo pagina dalla parola scritta e dalle narrazioni che sceglie ogni settimana, chiede che il ragazzo “mingherlino e pel di carota” salga ai piani alti e lasci le cucine per diventare il suo personale assistente di lettura.
Quel che è più divertente è che l’irruzione dei libri nell’universo regale ha effetti di generale stravolgimento degli equilibri di palazzo. Spassosi i dialoghi tra la regina e il suo segretario privato, Sir Kevin Scatchard, "un diligentissimo neozelandese dal quale ci si aspettavano grandi cose", uomo un po’ limitato che vive con autentico terrore l’idea che la sovrana trascuri gli impegni di corte, le convenzioni e il protocollo per mettersi a fantasticare rapita dai libri. I timori di Sir Kevin non si rivelano infondati: di lì a poco la regina inizia a trovare sempre più noiose le incombenze regali, le uscite pubbliche, gli incontri con i sudditi.
Oltre a quelli con il segretario privato sono deliziosi i dialoghi con le dame di compagnia, il primo ministro, totalmente ignorante in fatto di letteratura, gli altri capi di stato. Sua Maestà, per esempio, mette terribilmente in imbarazzo il presidente francese chiedendo una sua opinione su Jean Genet durante un banchetto.
Ma quel che è grande nel romanzo di Bennett è la capacità di raccontare il cambiamento di prospettiva, la metamorfosi psicologica che i libri creano nella regina. Come se per decenni avesse guardato il mondo da un luogo buio e appartato, adesso è sopraffatta da un’estrema curiosità verso la vita in tutte le sue forme e verso l’uomo; si accorge che nei libri può trovare le risposte a quelle domande che non aveva avuto mai il coraggio di porre neanche a se stessa.
Liberamente tratto dal Web



 


mercoledì 19 settembre 2018

“Il confine dell’oblio" di Sergej Lebedev

Sergej Lebedev (Mosca 1981) è uno scrittore e giornalista russo. Dall'età di quattordici anni ha preso parte per otto stagioni a spedizioni geologiche nel nord della Russia e in Kazakhstan. Dal 2002 lavora per il giornale "Pervoye Sentyabrya" ("Il primo settembre"), mentre alcune sue poesie sono state pubblicate nel giornale "Svesda" ("Stella"). Ha scritto quattro romanzi, esordendo con "Il confine dell'oblio", che è stato tradotto in molte lingue. A esso sono seguiti "God kometi" e "Lyudi Avgusta". Lebedev è anche autore del saggio breve "Dmitriev", in cui ha raccontato il fondamentale lavoro dello storico e attivista della Carelia Yuri Dmitriev. Nel 2018 è uscito il suo nuovo romanzo, "Gus Frits".
 
Trama
Fin dalla nascita - anzi ancor prima - si instaura un legame segreto tra il giovane protagonista del romanzo e il vicino di casa, un anziano silenzioso e cieco che pian piano prende il posto dei due nonni morti in guerra. Su di lui, che il bambino chiama Nonno Due, girano voci e sospetti ma nessuno conosce il suo passato e nemmeno al bambino, che un po' lo teme, è dato di sapere qualcosa. Eppure quando la violenza politica scuote la Russia e i carri armati sono in strada per il golpe del 1991, il vecchio cieco sacrifica la propria vita per quella del bambino. Il desiderio di conoscere chi era realmente Nonno Due porta  il protagonista - prima ragazzo e poi adulto - nei vasti territori del grande Nord siberiano. Lì troverà lettere, incontrerà persone e scoprirà indizi che gli permetteranno di mettere assieme la vera identità di Nonno Due. Una verità che lo farà soffrire e riflettere. Nonno Due infatti fu per parecchio tempo il capo di un gulag, ebbe una sua famiglia, ma le avversità del destino e della vita giocarono contro di lui. A fare da sfondo all’indagine c’è il paesaggio siberiano fatto di miniere in disuso, di crepacci naturali pieni di memoria, di caserme un tempo piene di uomini. Luoghi vuoti nel presente, afflitti da un senso di opprimente desolazione sotto la quale resta il ricordo delle indicibili violenze che caratterizzarono la vita degli internati e quella dell’anziano. Nel compiere la sua ricostruzione il protagonista mette in evidenza la magnifica bellezza delle terre russe, modificate e ferite in modo irreparabile dall’uomo. Allo stesso tempo, la violenza sull’ambiente rispecchia quella che gli esseri umani hanno compiuto verso altri loro simili, con il conseguente annientamento di ogni aspirazione alla libertà del vivere, agire e pensare. Lebedev vuole mantenere vivo nel presente il ricordo delle centinaia di migliaia di uomini e donne finiti nei gulag, di un recente passato che la Russia di oggi vorrebbe invece dimenticare.
Liberamente tratto dal web
 
 
 
 

 
 

giovedì 5 luglio 2018

La Treccia di Lætitia Colombani


Lætitia Colombani è nata nel 1976. Sua madre era bibliotecaria. Dopo due anni di classi preparatorie alla Cinésup di Nantes, entra all’Ecole Nationale Supérieure Louis Lumière dove si diploma nel 1998. Scrive e realizza cortometraggi e lungometraggi tra cui: à la folie... pas du tout (2002) con Audrey Tautou, Samuel le Bihan et Isabelle Carrè e Mes stars et moi (2008) con Kad Merad e Catherine Deneuve. Lavora anche per la scena ed è coautrice della commedia musicale Résiste nel 2015 basata sulle canzoni di France Gall composte da Michel Berger e rappresentata al Palazzo dello Sport di Parigi e in tournée in tutta la Francia. Lætitia Colombani è anche attrice televisiva e cinematografica, è comparsa in una dozzina di film, tra cui Cloclo  di Florent E. Siri del 2012
Trama


Il libro racconta la storia di tre donne senza legami tra loro, le cui vite scorrono parallele, ma con un destino in comune: lottare con coraggio per percorrere nuove strade, vincere battaglie, smentire i pregiudizi. Smita, che nel villaggio di Badlapur, in India, si sveglia con “un sentimento strano, un’urgenza dolce” perché oggi la figlia andrà a scuola e lei, da dalit (intoccabile), a scuola non ci è andata mai. Giulia, che “apre gli occhi a fatica” mentre la voce di sua madre risuona nella stanza per incitarla a uscire presto e aprire il laboratorio di famiglia dedicato a lavorare la cascatura, capelli veri usati per realizzare parrucche. Un luogo, a Palermo, in cui le donne condividono molto più di un semplice mestiere; “Mentre le loro mani si muovono agilmente tra le ciocche, le operaie parlano di uomini, d’amore e della vita, da mattina a sera”. Sarah si sveglia invece al suono della sveglia. Sono le cinque, la sua vita è “una continua lotta contro il tempo” e il suo cervello si accende come il processore di un computer. Siamo a Montreal, Canada, e sotto un’apparente vita perfetta Sarah nasconde il dolore di un male diagnosticato.

In comune hanno anche un elemento che ricorre in ogni storia: i capelli. Dell’una, dell’altra, di tutte e tre perché le vicende sono in un modo o nell’altro legate ad essi; forti o fragili, persi o donati, rappresentano un legame simbolico che le unisce tutte come in un abbraccio. Dice l'autrice: “Sarah, Smita e Giulia sono donne che hanno un rapporto particolare con i loro capelli, protagonisti assieme a loro del romanzo. Non volevo venissero considerati un accessorio o un elemento aneddotico, superficiale, così ne ho fatto lo strumento che queste donne utilizzano per liberarsi, ciascuna dalla propria ‘schiavitù’. È il racconto di un' emancipazione femminile che avviene attraverso i capelli, considerati simbolo di femminilità ma anche di forza e coraggio".
 
 Liberamente tratto dal web 


 

 








 










mercoledì 23 maggio 2018

Gioco all'alba di Arthur Schnitzler

Arthur Schnitzler (Vienna 15 maggio 1862 - 21 ottobre 1931).
Schnitzler nasce da famiglia ebraica a Vienna dove frequenta l'Akademisches Gymnasium e poi la facoltà di medicina dove si laurea nel 1885. La sua prima opera è del 1888: l'atto unico L'avventura della sua vita. In essa compare per la prima volta il personaggio di Anatol che darà il nome ad un ciclo di atti unici. Alla morte del padre, nel 1893, lascia l'impiego ospedaliero e apre uno studio medico privato. Nel 1895 viene rappresentato al Burgtheater di Vienna, Amoretto che dà subito notorietà e successo all'autore. Nel 1900 pubblica Il sottotenente Gustl che provoca la sua radiazione da tenente medico dell'esercito, a seguito della impietosa rappresentazione della vita militare fatta nel romanzo. Nel 1902 nasce il figlio Heinrich, avuto dalla cantante Olga Gussmann, con cui si sposa nel 1903. Nello stesso anno va in scena a Monaco di Baviera Girotondo, scritto tre anni prima e mai pubblicato, causando un notevole scandalo per il presunto cinismo con cui vengono rappresentati i rapporti tra cinque uomini e altrettante donne che sono uniti da un filo comune. Il testo teatrale viene pubblicato dopo pochi mesi dalla rappresentazione, riportando un successo di vendite strepitoso. Girotondo è tuttora un lavoro molto rappresentato. Nel 1905 debutta Intermezzo con cui otterrà il Premio Grillparzer per la commedia. Nel 1909 nasce la figlia Lili. Nel 1913 pubblica Beate e suo figlio. L'anno successivo esce un film tratto dalla commedia Amoretto, con sceneggiatura dell'autore. Nel 1917 pubblica Il dottor Gräsler medico termale e nel 1918 Il ritorno di Casanova. Schnitzler era molto attratto dalla vita dell'avventuriero veneziano e ne fece il protagonista di opere di pura invenzione che riuscivano però a rendere con grande precisione introspettiva il carattere del personaggio. Nel 1924 pubblica La signorina Else. Tra il 1925 e il 1926 esce, pubblicato su una rivista, Doppio sogno. Il 26 luglio del 1928 la figlia Lili si suicida a Venezia, dove abita con il suo marito italiano. È un atto inspiegabile e per il padre un durissimo colpo dal quale non si riprenderà più. Tre anni dopo Schnitzler muore, a Vienna, per un ictus.

Trama
È un racconto breve, che si sviluppa in un giorno e mezzo, costretto dentro i limiti di una ferrea legge dell'onore militare, per cui i debiti di gioco devono essere saldati entro le ventiquattr'ore. La narrazione avviene secondo lo schema del flusso di pensiero e monologo interiore, di cui Schnitzler è maestro. Una domenica mattina il tenente William Kasda - Willi - riceve una visita inaspettata: l'ex tenente Otto von Bogner, caduto in disgrazia e radiato dall'esercito per debiti di gioco, gli chiede 960 fiorini, per ripagare un ammanco di cassa. Willi in tasca ha solo 120 fiorini ma prende lo stesso su di sé la responsabilità del debito dell'amico. Prima si reca presso la famiglia Kessner, poi raggiunge il Café Schopf di Baden, dove inizia una partita a Chemin de fer, che finirà solo all'alba del giorno dopo.  All'inizio vince più di quanto gli serve per prestare i mille fiorini all'amico ma, preso dal gioco, insiste e continua a vincere. A metà serata, quando perde l'ultimo treno che rientra a Vienna, torna al tavolo, e riprende a giocare sempre più forte, senza badare ai soldi che perde, accettando sventatamente quelli che il Console gli presta. Alla fine si ritrova con un debito di 11.000 fiorini, che dovrà pagare entro mezzogiorno del giorno dopo. Una somma impossibile per le sue finanze, a meno che lo zio Wilram, che gli aveva versato fino a poco tempo prima un discreto vitalizio, lo aiuti. Si reca dallo zio, che gli spiega che non possiede più nulla: ha intestato la sua intera fortuna alla moglie (una fioraia di facili costumi, con cui Willi stesso aveva passato una notte alcuni anni prima) che non gli da più soldi. Willi si reca dalla donna, che inizialmente gli nega qualsiasi possibile aiuto, ma alla fine, promettendogli di andare a trovarlo più tardi, gli lascia sperare qualcosa. Effettivamente Leopoldine si concede a Willi, nel suo alloggio in caserma. La mattina si alza prima di lui e gli lascia 1.000 fiorini come pagamento per la prestazione sessuale della notte. Willi si ricorda di aver lasciato a sua volta sul comodino di Leopoldine 10 fiorini come mancia non richiesta per la notte che lei pensava di avergli donato per amore. La donna quindi si vendica e se ne va. Willi fa recapitare i 1.000 fiorini all'amico Otto e poi si spara un colpo alla tempia. Arriva poi lo zio Wilram che, ormai troppo tardi, ha portato 11.000 fiorini. Andandosene Wilram annusa il profumo familiare di Leopoldine, sua moglie nonostante tutto, e scorge i piatti con gli avanzi di una cena per due. Colto da un terribile sospetto chiede all'attendente con chi avesse cenato Willi l'ultima sera. Questi, mentendo, dichiara fermamente sull'attenti: "fino a tarda notte... con un altro ufficiale".
 
Liberamente tratto dal web 

giovedì 5 aprile 2018

Un incontro imprevisto (su "Il gabbiano" di Marai)

 
Il tema della ricerca della propria identità è al centro di alcuni romanzi simbolo del ‘900, come "Il fu Mattia Pascal" (1909), "Uno, nessuno, centomila" entrambi di Pirandello (1926) e "L’uomo senza qualità" di Musil (1933). Nel romanzo "Il gabbiano" di Marai, scritto nel ’43, tale ricerca si carica di implicazioni nuove in relazione alla gravità del momento storico. il Paese nel quale si svolge l’azione sta per entrare in guerra e di conseguenza la dimensione del singolo, con i suoi sentimenti e inquietudini, con le sue attese circa il futuro, sta per essere spazzata via dagli eventi, come se la libertà umana fosse irrimediabilmente schiacciata sotto il peso della storia. Inoltre, anche in tempo di pace, la società civile si è ormai strutturata in modo tale da togliere al singolo la sua originalità ("queste persone sono sempre massa anche quando sono sole…questa massa è il cascame di una civiltà…ovunque gelida complicità").
 
In questo quadro si inserisce la vicenda personale del protagonista, che si svolge come in un altro romanzo di Marai "Le braci" in un breve arco temporale: le ultime ventiquattro ore che precedono la notizia dell’entrata in guerra. C’è guerra fuori e c’è guerra dentro di lui, nei suoi sentimenti.
 
 L’incontro imprevisto con una donna straniera, incredibilmente somigliante alla donna da lui amata e purtroppo morta tragicamente, lo induce a domandarsi quale sia la reale identità di ognuno e che cosa ne garantisca l’unicità; quale sia, inoltre, il rapporto tra la libertà personale e il destino: è la grande storia che decide?  Lo stile è caratterizzato da una grande accuratezza espressiva, che è coltivata come affermazione della libertà di pensiero ("occorre cercare la vera patria che forse è la lingua") e manifesta l’avversione innata dell’autore a ogni forma di dittatura. I lunghi monologhi e l’attenzione concentrata più sulla parola che sull’azione lo rendono un romanzo originale, a tratti molto intenso e anche poetico, ma con un ritmo particolarmente lento: il ritmo proprio della riflessione interiore.

venerdì 23 marzo 2018

Groviglio di vipere di François Charles Mauriac


François Charles Mauriac (Bordeaux 11 ottobre 1885 - Parigi 1 settembre 1970)
Nacque in una famiglia composta di cinque fratelli, un padre  agnostico e repubblicano, e una madre cattolica, che rimasta vedova all'età di ventinove anni educò i figli alla religione. Mauriac studiò alla scuola religiosa Grand-Lebrun e mostrò una grande passione per alcuni tra i maggiori autori francesi, come Pascal, Baudelaire, Balzac e Racine. Il suo esordio avvenne grazie ad un articolo scritto per La vie fraternelle, voce del movimento cattolico Sillon, di impronta operaia e popolare. Ottenuta la licence in lettere nel 1906, si trasferì a Parigi per partecipare al concorso all'École des Chartres, che vinse e che gli aprì la carriera di insegnante.  Ma nel 1909 decise di dedicarsi anima e corpo alla letteratura, pubblicando la raccolta di poesie intitolata Les Mains jointes , seguita dal romanzo L'Enfant chargé de chaînes. Già in queste prime opere si delineò l'ispirazione religiosa anche se i toni furono ancora sfumati. Nel 1913 si sposò con Jeanne. In quegli anni Mauriac si dedicò con passione anche all'attività di giornalista, collaborando con Gaulois e Le Figaro e si impegnò come promotore di un manifesto destinato ai cattolici affinché si dissociassero dal franchismo. Nei romanzi come Il bacio al lebbroso (1922), Thérèse Desqueyroux (1927), Groviglio di vipere (1932), si fece denunciatore spietato e giudice intransigente di sentimenti quali avarizia, orgoglio, odio, sensualità, avidità, materialismo e brama di dominare, che travolgono la borghesia di provincia, lontana da ogni possibilità di riscatto. Questi temi permeano anche la sua produzione teatrale: ricordiamo Asmodeo del 1937 al quale fecero seguito Amarsi male (1945) e Passaggio del diavolo (1947), Il fuoco sulla terra (1950).  Ai romanzi alternò ritratti più distaccati in saggi critici su Jean Racine, Blaise Pascal, Gesù. Numerosi furono pure i suoi studi sui problemi del credente, tra i quali Sofferenza e gioia del cristiano (1931), Brevi saggi di psicologia religiosa (1933), così come fondamentali risultarono i suoi saggi dottrinali Giovedì Santo (1931) e La pietra dello scandalo (1948). Durante la seconda guerra mondiale si oppose al governo di Vichy e si avvicinò alle posizioni del generale de Gaulle, al quale dedicherà un'opera biografica intitolata De Gaulle. Tuttavia, nel1945, prese le difese degli scrittori collaborazionisti come il fascista Brasillac. Ciò gli valse, da parte del foglio satirico-politico Canard enchaîné il soprannome di "Saint Françoise des Assises". Per lo stile fluido e ricco di immagini, per la coerenza e dirittura morale ma soprattutto perché trattò temi universali, gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura nel 1952. Nel maggio 1955 Mauriac spronò Elie Wiesel a scrivere delle sue esperienze di internato nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald (nel 1958 pubblicherà una delle sue opere più famose: La notte). Si schierò anche per la decolonizzazione dell'Algeria.
Trama
La storia è narrata in prima persona da Louis, il protagonista, che a 68 anni ripercorre le vicende della sua vita, dal 1885 circa, fino al 1930. Louis è un uomo molto facoltoso. La sua fortuna è stata raggiunta grazie alle sue capacità di accumulare capitali, ma anche tramite un buon matrimonio. Giovane assai povero, intelligente, pieno di rancore verso la propria madre (che riteneva impresentabile), aveva sposato Isabelle, verso cui si era mostrato immediatamente geloso e ombroso. Isabelle era stata innamorata di un giovane che non aveva potuto sposare perché egli era tisico e, avendo Isabelle due fratelli morti della stessa malattia, i genitori avevano accettato Louis, pur di classe sociale più modesta, affinché non si perpetrassero ulteriori malattie da trasmettere ai discendenti. Su queste basi, Louis si era sempre sentito aspro e chiuso in se stesso. Al momento del racconto, Louis è invecchiato e presenta una salute molto malferma. I familiari, pensando che non sono da lui amati e nemmeno graditi, vorrebbero ricorrere a un medico per far internare il malato e non rischiare di perdere l'eredità. Pertanto si sono riuniti nella casa di Louis e passano il tempo a tramare e parlarsi, esasperando l'uomo. Dal canto suo, Louis ha più volte cercato di estromettere i suoi due figli, con relativi coniugi e figli, dall'eredità, ma la sorte non lo ha favorito, togliendogli le persone che gli erano state più a cuore. Assediato dentro e fuori, Louis ripercorre le tappe della sua vita amara. E' sempre adirato con Isa, odia i giovani nipoti, e non ha capito le qualità dei suoi figlioli, che sin da bambini erano stati modelli di buona educazione e chiunque altro ne sarebbe stato fiero. Invece emergono dal cuore aggrovigliato di Louis l'affetto per la figlioletta minore Marie, morta a dieci anni, per il piccolo Luc, nipote di Isabelle, falciato dalla guerra a soli 18 anni, per un figlio illegittimo, Robert, che si era rivelato debole e corruttibile. In questo macerarsi, Louis si accorge troppo tardi che, più logorata di lui, Isa d'improvviso si ammala e muore. La scomparsa della compagna di vita, a prescindere dalla qualità di quella vita, colpisce Louis che piange e si dispera, con immenso stupore di tutti. Perché Louis, se non aveva dispensato il bene tra i suoi, ne era in ogni modo stato ricambiato con chiusure e pregiudizi, come se un tipo del suo stampo non potesse comportarsi che ingiustamente. Solo la moglie, Isa, non aveva mai smesso di amarlo, di cercare di farlo accettare, e anche lei era stata fraintesa e compatita. Ma la nuova svolta, il crollo di Louis, convince i familiari a lasciarlo solo e la nipote Janine, sul punto di separarsi dal marito Phili, (altra simpatia di Louis, nonostante sia un dissipato) rimane con il nonno, a sua volta per riflettere ed assisterlo. Così il dialogo interiore che Louis aveva intrapreso, può continuare nella quasi solitudine e diventare dialogo con il proprio Creatore. E il grido dell'uomo che si sente peccatore, che ha tenuto in sé un groviglio di vipere, sale e sale, fino a consumare Louis. A Janine toccherà il suo diario e la difesa di un'anima che, trovata la pace, forse ha trovato anche la luce.

mercoledì 21 febbraio 2018

Voci del verbo andare di Jenny Erpenbeck


 
Jenny Erpenbeck è nata a Berlino Est nel 1967 da padre di origini russe, fisico, filosofo e scrittore, e madre polacca, traduttrice dall'arabo.  Ha frequentato una scuola professionale a Berlino est dove ha conseguito il diploma di maturità nel 1985. Ha poi frequentato un corso biennale per diventare rilegatrice di libri e ha lavorato in diversi teatri come guardarobiera e trovarobe. Dal 1988 al 1990 ha studiato scienza del teatro alla Humboldt Universitaet a Berlino e nel 1990 è passata agli studi per regista di teatri di musica presso la scuola di musica "Hanns Eisler". Subito dopo la fine degli studi nel 1994 ha lavorato come assistente alla regia all'Opera di Graz e successivamente alla messa in scena di diverse opere in Germania e in Austria. Attualmente vive a Berlino con suo marito Wolfgang Bozic, direttore d'orchestra, e il loro figlio. Accanto al lavoro di regista ha intrapreso negli anni novanta la carriera di scrittrice con testi di prosa e teatro. Il suo romanzo di esordio è stato nel 1999 Storia della bambina che volle fermare il tempo . Nel 2008 è uscito il pluripremiato Di passaggio, che ha ottenuto un sorprendente successo di pubblico e di critica anche oltreoceano. Con E non è subito sera (2012) ha vinto il prestigioso Hans Fallada Prize. Voci del verbo andare (2015), tra i finalisti del Deutscher Buchpreis, è stato tra i libri più venduti nella classifica dello Spiegel.

Trama
Richard è un filologo classico in pensione, quasi per caso entra in contatto con un gruppo di africani alloggiati in un campo profughi di Berlino. È un uomo solo, vedovo e senza figli, e ha molto tempo a disposizione; in quel luogo si scoprirà capace di ascoltare le vite degli altri, le peripezie e le vicissitudini di chi viene dal Ghana, dal Ciad, dalla Nigeria, storie di lutto, fame, guerra, coraggio e difficoltà. Nel dialogo con gli esuli Richard scorge un’umanità a tratti capace di essere innocente e integra. La sua cultura classica funge da elemento rivelatore, lo aiuta a immergersi in un mondo e in una diversa visione del mondo, a confrontare valori a volte contrapposti. L’antichità e la modernità, l’universalismo e l’interesse individuale, il difficile bilanciamento tra gli ideali e la sopravvivenza. Gli uomini a cui pone le sue domande sono riusciti ad arrivare a Berlino nell’autunno del 2013, dopo essere sbarcati a Lampedusa. Sono quattrocento stranieri in terra straniera, e tutto per loro è diverso, difficile, alieno. Prima si accampano in una piazza del quartiere Kreuzberg per chiedere aiuto e lavoro, ma la polizia non perde tempo, li sgombera e li ricovera nella zona orientale della capitale. Vitto e alloggio, una prima conquista, e poi un corso per apprendere la nuova lingua. Ma per loro, come per quasi tutti quelli che sono scappati dai paesi di origine per approdare in Europa in cerca di un rifugio e di una casa, la normalità è una conquista difficile. Prima di tornare a vivere si annuncia un’attesa di anni.
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