sabato 31 luglio 2021

L’arte di perdere di Alice Zeniter


Alice Zeniter è
nata nel 1986 a Clamart. Ha studiato all'Ecole normale superiéur di Parigi e nel 2008 si è trasferita in Ungheria, dove ha insegnato Lingua Francese e Storia del Teatro all'Università di Budapest. 
Ha pubblicato il suo primo romanzo, Deux moins un égal zéro, a soli 16 anni vincendo il Prix littéraire de la ville de Caen e ha lavorato in diverse compagnie teatrali come Kreatakor e Kobal't. Con il suo quarto romanzo L'Art de Perdre, ha vinto il Prix Goncourt des Iycéène nel 2017.

Trama

Alí ha perso tutto. Eppure non ha mai creduto che la Storia potesse riservargli qualcosa di brutto. Non a lui che è sopravvissuto alla battaglia di Montecassino combattendo per la Francia. Non a lui, a cui il cielo ha donato un torchio e Dio un primogenito bello e sano come Hamid. Ma quando nel 1962 l’Algeria ottiene l’indipendenza, Alí non è piú l’uomo onorato e rispettato del suo piccolo villaggio. Ha dovuto collaborare con gli oppressori francesi: ora nuovi oppressori lo perseguitano in nome di un’altra bandiera. Alí deve lasciare per sempre gli uliveti della sua amata montagna in Cabilia. Hamid è ancora piccolo quando perde tutto per la prima volta. O meglio, scambia tutto quello che ha: l’innocenza per lo spettacolo delle torture della guerra civile, la casetta sul crinale per una tenda in un desolante campo d’accoglienza, i suoi fieri genitori per due ombre svuotate da un’anonima banlieue francese. Di quello sradicamento Hamid finisce per farne una religione, condannando il paese della sua infanzia all’oblio e se stesso alla condizione permanente di straniero.
Naïma ha perso l’Algeria prima ancora di poterla avere. Perché il padre Hamid non ha mai voluto raccontarle niente, sua nonna non parla la sua lingua, la metà dei suoi zii è nata in Francia, suo nonno Alí è morto da tempo. Naïma è francese e pensa di non avere nulla in comune con quel paese sulla riva opposta del Mediterraneo. Fino a quando decide di conoscere meglio l’Algeria e la travagliata storia della sua famiglia. Anche se tutti la considerano «un’algerina» – soprattutto negli anni del terrorismo e della xenofobia che infetta l’Europa – Naïma capisce presto che un paese non è un tratto somatico e non si può ereditare.

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