In una recente intervista Abraham Yehoshua afferma
che “In Israele ogni gruppo etnico afferma la
propria memoria storica sacrificando il dialogo e la vita quotidiana (…) Siamo
divisi in molti gruppi etnici e siamo esageratamente attaccati alla memoria, e
non a quello che accade attorno a noi (…) La troppa memoria si trasforma in una
barriera contro l’amicizia e la cooperazione tra persone”. Per Yehoshua quindi “Troppa memoria è
pericolosa” e allora il protagonista de Il
Tunnel è un uomo alle soglie della demenza, che sta per perdere la memoria
e ritrovare la sua umanità. Zvi Luria ha lavorato una vita costruendo strade e
tunnel, senza curarsi di dove passano e dove portano, delle persone che ci
viaggiano e ci vivono vicino. Per evitare possibili problemi ha anche evitato
di conoscere i dettagli personali delle vite dei suoi colleghi, di cui sa
praticamente solo nome e cognome. Ma poi i nomi hanno incominciato a svanire
dalla sua mente, numeri, indirizzi, avvenimenti e Zvi Luria è cambiato, ha abbassato
le difese lasciandosi coinvolgere dagli avvenimenti e dalle persone.
E’diventato empatico, ha incominciato a interessarsi alla vita delle persone
che incontra e a volerle aiutare e proprio per aiutare un giovane ingegnere e
una famiglia di palestinesi (e forse in qualche modo anche sè stesso) progetta
il suo ultimo tunnel. Sul tracciato di una strada militare in progettazione infatti,
si trova una collina, un luogo ricco di storia (un antico insediamento nabateo)
e di vita, e dovrebbe essere distrutta, spianata, cancellata. Invece il tunnel,
che passa sotto la collina, protegge chi vi abita, preserva il passato e
nasconde il tutto alla vista di chi vi transita. Il tunnel è come la mente
confusa e la memoria di Zvi che sta svanendo piano piano, consente di andare
oltre gli ostacoli e i problemi. La malattia di Zvi Luria lo lascia senza
ricordi, come nudo davanti al tunnel che è il suo futuro, ma non triste e
disperato perché non è solo. Vicino a lui ci sono la moglie e i figli che lo
amano di un amore saldo e immutabile. Come conclude Yehoshua “L’amore
è il fulcro, il più prezioso elemento dell’anima umana (...) Cosa sarebbe
l’essere umano senza l’amore”.
Un gruppo di donne, un gruppo di amiche. Curiose, desiderose di conoscere, capire e imparare. Diverse, ma unite dalla passione per la lettura.
martedì 1 ottobre 2019
domenica 29 settembre 2019
Sonecka di Marina Cvetaeva
Marina Cvetaeva (Mosca 1892 – Elabuga 1941)
Marina Cvetaeva nacque a Mosca, figlia di Ivan
Vladimirovič Cvetaev, filologo e storico dell'arte, e Marija Aleksandrovna
Mejn, eccellente pianista. Marina trascorse l'infanzia, insieme alla sorella
minore Anastasija e ai fratellastri Valerija e Andrej, figli del primo
matrimonio del padre, in un ambiente ricco di sollecitazioni culturali. Marina
ebbe dapprima una istitutrice, poi fu iscritta al ginnasio, quindi, quando la
tubercolosi della madre costrinse la famiglia a frequenti e lunghi viaggi
all'estero, frequentò degli istituti privati in Svizzera e Germania per
tornare, infine, dopo il 1906, in un ginnasio moscovita. Nel 1909 si trasferì
da sola a Parigi per frequentare lezioni di letteratura francese alla Sorbona.
Il suo primo libro, "Album serale", pubblicato ne 1910, conteneva le
poesie scritte tra i quindici e i diciassette anni. Il libretto uscì a sue
spese e in tiratura limitata, ciò nonostante fu notato e recensito da alcuni
tra i più importanti poeti del tempo, come Gumiliov, Briusov e Volosin. Nel
1911 la poetessa si recò per la prima volta nella famosa casa di Max Volosin a
Koktebel', una sorta di ospitale casa-convitto dove prima o poi soggiornavano
tutti gli scrittori russi. Fu proprio durante la sua prima visita a Koktebel'
che incontrò Sergej Efron di cui subito si innamorò e decise di sposarlo. Di lì
a poco fu pubblicata la sua seconda raccolta di liriche, "Lanterna
magica", e nel 1913 "Da due libri". Intanto, nel 1912, era nata
la prima figlia, Ariadna (Alja). Le poesie scritte dal 1913 al 1915 avrebbero
dovuto vedere la luce in un volume, "Juvenilia", che restò inedito
durante la vita della Cvetaeva. Nel 1917 la Cvetaeva si trovava a Mosca e
fu testimone della sanguinosa rivoluzione bolscevica di ottobre. La
seconda figlia, Irina, nacque in aprile. A causa della guerra civile si trovò
separata dal marito, che si unì, da ufficiale, ai bianchi. Bloccata a Mosca,
non lo vide dal 1917 al 1922. A venticinque anni, dunque, era rimasta sola con
due figlie in una Mosca in preda ad una carestia così terribile quale mai si
era vista. Tremendamente poco pratica, non le riuscì di conservare il posto di
lavoro che il partito le aveva "benevolmente" procurato. Durante
l'inverno 1919-20 si trovò costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in
un orfanotrofio, e la bambina vi morì nel febbraio per denutrizione. Quando la
guerra civile ebbe fine, la Cvetaeva riuscì nuovamente a entrare in contatto
con Sergej Erfron e acconsentì a raggiungerlo all'Ovest. Nel maggio del 1922
emigrò a Praga passando per Berlino e, nonostante fosse espatriata, la sua più
importante raccolta "Versti I" fu pubblicato in patria. A Praga la
Cvetaeva visse felicemente con Efron dal 1922 al 1925. Nel febbraio 1923 nacque
il terzo figlio, Mur e in autunno partì per Parigi, dove trascorse con la
famiglia i successivi quattordici anni. In quegli anni il marito Efron, tornato in
Russia, cominciò a collaborare con la GPU, partecipando tra l’altro all'uccisione
del figlio di Trotskij. Dopo anni di assenza, spinta dalla miseria e dal
desiderio dei figli di rivedere la patria, si decise a tornare in Russia. Sperava
anche di ritrovare il marito, di cui si erano perse le tracce, ma scoprì che
era stato arrestato e fucilato. Si ritrovò sola e senza aiuti, agli occhi dei suoi
concittadini era una ex emigrata, una traditrice del partito. Nell'agosto del
1939 sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag, ancora prima era stata
presa la sorella. Quando l'estate successiva cominciò l'invasione tedesca, la
Cvetaeva venne evacuata ad Elabuga, nella repubblica autonoma di Tataria.
Abbandonata da tutti e in totale miseria il 31 agosto del 1941 la Cvetaeva si
impiccò. Lasciò un biglietto, poi scomparso negli archivi della milizia.
Nessuno andò ai suoi funerali, svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino,
e non si conosce il punto preciso dove fu sepolta.
Trama
Sonecka e
Marina si conoscono tramite amici in comune. La prima è un’attrice, la seconda
una scrittrice, l’amico in comune un poeta che ha dedicato dei versi a Sonecka.
Il triangolo crea la tensione che porta avanti la relazione, almeno all’inizio.
Marina è gelosa dell’attenzione che il poeta riserva a Sonecka: vorrebbe avere
questa donna straordinaria solo per sé. E invece tutta Mosca se la
contende. L’essenza di Sonecka è quanto di più diverso da quella di
Marina: tanto la prima è volubile e vulnerabile, tanto l’altra è granitica
e inscalfibile. Inevitabilmente tra le due donne si crea una relazione
totalizzante, che finisce solo perché, a un certo punto, Sonecka si avvia
“verso il suo destino di donna”, ossia verso un uomo. Marina però lo sa già,
anche lei ha abbracciato il suo destino, dal 1912 è sposata
con Sergei Efron. Il loro amore è estremamente moderno e libero da
costrizioni: la donna, infatti, ha anche relazioni con altre persone, come con
il poeta Osip Mandelstam, o con la poetessa Sofia Parnok. Negli anni
della relazione con Sonecka, il marito di Marina è dato per disperso
e la donna vive con le due figlie nella miseria. Suo unico sollievo, l’arte e
gli artisti di cui si circonda. E, ovviamente, l’amore per Sonecka.
Liberamente tratto dal WEB
venerdì 21 giugno 2019
Il Tunnel di Abraham Yehoshua
Abraham
"Boolie" Yehoshua (Gerusalemme 19 dicembre 1936) è uno scrittore, drammaturgo
e accademico israeliano. E’ nato a Gerusalemme in una famiglia d'origine
sefardita e vive ad Haifa nella cui università insegna Letteratura comparata e
Letteratura ebraica. Suo padre, Yaakov Yehoshua, era uno storico, specializzato
nella storia di Gerusalemme, mentre sua madre, Malka Rosilio, era giunta dal
Marocco nel 1932. Yehoshua è stato sposato con Rivka, psicanalista specializzata
in psicologia clinica, morta nel 2016. Ha
una figlia, due figli e sei nipoti.
Dopo aver servito nell'esercito dal 1954 al 1957,
Yehoshua ha studiato alla scuola Tikhonaime e si è laureato in
Letteratura ebraica e Filosofia all’Università Ebraica di Gerusalemme. Ha
incominciato a scrivere appena finito il servizio militare e ha pubblicato il
suo primo libro, una raccolta di racconti, Mot Hazaken (La morte del
vecchio), nel 1962. Ha avuto incarichi come professore esterno nelle Università
di Harvard, Chicago e Princeton. Nel 2003 gli è stato conferito il Premio
Letterario Internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa per La sposa
liberata. Ha vissuto a Parigi per quattro anni, dal 1963 al 1967,
lì ha insegnato e ha ricoperto anche l'incarico di Segretario Generale
dell'Unione Mondiale degli Studenti Ebrei. I temi principali del pensiero e
dell'opera di Yehoshua sono: la questione del rapporto tra popoli diversi, che
hanno religioni e culture differenti, i rapporti familiari e l'amore coniugale,
che non essendo fondato su un legame di sangue deve essere continuamente rimesso
in gioco. Yehoshua viene spesso definito il simbolo della complessità
ebraica: sentimenti amorosi, religione e fede, ideologia politica e routine
quotidiana costituiscono un unicum nei suoi scritti e tutto ciò si trova
sempre ben contestualizzato nella dimensione storica dello Stato d'Israele e
nel mondo ebraico.
Trama
Zvi Luria, stimato dirigente in pensione
dei Percorsi d’Israele uomo esemplare per buon senso, professionalità, rigore
nel lavoro, pazienza e generosità nei rapporti con la sua famiglia amatissima,
inizia a perdere le informazioni essenziali. Queste “vagano nella sua mente
come un pesciolino nero”, incapaci di trovare un’uscita e quindi neanche il
cellulare nel deserto del Negev, il controllo di un SUV, la strada di casa e,
improvvisamente, anche quella di un’esistenza sino a quel momento appagante. Inizia a
proiettare l’immagine della moglie Dina – pediatra di 64 anni, premurosa e
decisa nei loro 48 anni di matrimonio – in donne più giovani che sono sue
inquietanti e fascinose sosia e che a loro volta si moltiplicano e dissolvono
in fantasmi femminili del passato. Donne che iniziano a parlare con la suadente
voce femminile del navigatore, con l’accento coreano o giapponese incluso. Zvi Luria inizia a confondere Mosé con Giosué –
cosa grave, anche per un ebreo non ortodosso – e a sbagliare: dimentica di
prendere il nipote all’uscita dell’asilo, gli acquisti del supermercato, il
codice dell’antifurto e come si accendono i fari, la stanza dell’amico
all’ospedale, le porte. E poi dimentica che la Giulietta di Gounod
bisogna ascoltarla seduti in platea, non finire dietro le quinte per metterla
in guardia dall’errore fatale. E dimentica, in
particolare, i nomi. Fagocitati dall’atrofia del lobo frontale destro, si
volatizzano prima dei cognomi, eppure vengono perentoriamente richiesti, magari
da tenaci ex-amanti rancorose, e finiscono scritti sul palmo della mano, come
accade al nonno di Oskar in Molto forte, incredibilmente vicino.
Liberamente tratto dal
web
martedì 28 maggio 2019
Anonimo Veneziano di Giuseppe Berto
Giuseppe
Berto nasce a Mogliano Veneto il 27 dicembre 1914, secondo di cinque figli, da
un maresciallo dei carabinieri, che per amore della moglie aveva lasciato
l’Arma per aprire un negozio di ombrelli e cappelli. Frequenta il ginnasio nel
locale collegio dei Salesiani e il liceo a Treviso, ma per lo scarso impegno e
gli scarsi risultati il padre lo minaccia di non mantenerlo all’università. Per
questo si arruola nell’esercito e contemporaneamente si iscrive alla Facoltà di
Lettere dell’Università di Padova. Ben presto parte volontario per l’Africa
Orientale, partecipando alla guerra di Abissinia, nel 1935, e combattendo come
sottotenente in un battaglione di truppe di colore si guadagna un paio di
medaglie al Valore Militare e qualche ferita. Tornato in patria, nel 1939,
riprende gli studi e si laurea abbastanza in fretta “anche per la benevolenza
di certi esaminatori che gradivano il fatto che si presentava agli esami in
divisa, ostentando le decorazioni al Valore Militare”, come lui stesso racconta
nel “Male oscuro”. Dopo la
laurea insegna, prima Latino e Storia in un Istituto Magistrale, poi Italiano e
Storia in un Istituto Tecnico per Geometri, ma ben presto lascia l'insegnamento
e si arruola nella Milizia volontaria per la Sicurezza Nazionale. Inviato a
combattere in Africa Settentrionale, dopo essere stato incorporato nel 6°
Battaglione Camicie Nere "M", i fedelissimi di Mussolini, cade
prigioniero il 13 maggio 1943 degli americani. E’ proprio durante la prigionia
nel campo di internati in Texas che Berto inizia a scrivere. Ha come compagni
di prigionia Dante Troisi, Gaetano Tumiati e Alberto Burri, che lo incoraggiano
a scrivere nella rivista "Argomenti". Lì compone “Le opere di Dio” e
“Il cielo è rosso”, poi nel 1951 “Il brigante”. Trasferitosi
a Roma, comincia a lavorare per il cinema: in questo periodo escono nel 1955
“Guerra in camicia nera” e nel 1963 il volume di racconti “Un po’ di successo”. Nel 1958 Berto cade in una grave forma di nevrosi, ne
uscirà dopo tre anni di analisi quando compone “Il male oscuro”, che vince
contemporaneamente nel 1964 il Premio Viareggio e il Premio Campiello. Si
aggiungono poi il dramma “L’uomo e la sua morte” (1963), “La Fantarca” (1964),
e il romanzo “La cosa buffa” (1966). Nel 1971 scrive il pamphlet “Modesta
proposta per prevenire” e il lavoro teatrale “Anonimo Veneziano”, ripubblicato
come romanzo nel 1976. Con la favola ecologica “Oh, Serafina!” vince nel 1974
il Premio Bancarella. Dal dramma “La passione secondo noi stessi”, Berto matura
l’idea portante del suo ultimo libro “La gloria” del 1978. Si spegne a Roma il 1 novembre 1978. E’ sepolto a Capo
Vaticano.
Trama
Il
libro è ambientato in una Venezia invernale e narra la storia di un musicista
afflitto da una malattia incurabile che decide di rivedere la donna che ha
amato in passato e che ancora pensa di amare. I due protagonisti si perdono e
si ritrovano come dei maturi Romeo e Giulietta attratti l’uno dall’altro in
gioventù, senza poi riuscire a trasformare questo amore passionale in un amore
più adulto. Entrambi con un animo ardente e imprevedibile, si sono amati di un
amore carnale e disperato, litigioso, infedele, almeno da parte dell’uomo. Si
sono sposati perché lei era incinta e si sono separati perché a un certo punto
sempre lei non riusciva più a sopportare le sregolatezze dell’uomo, il suo
scialacquare un limpido talento di musicista. Vagando come anime perdute in una
triste e malinconica città lagunare ricordano i bei tempi passati, mentre la
città fa da testimone ai loro bisticci, alle loro piccole crudeltà reciproche,
al loro amarsi ancora nonostante tutto. Il libro è nato quasi per caso da un
suggerimento di Enrico Maria Salerno, che da un proprio soggetto voleva trarre
il suo primo film. Giuseppe Berto si impegnò a scriverne i dialoghi e si
appassionò tanto da lavorarci su per mesi e anni, fino a trasformarli in un
fortunato testo teatrale prima e poi in uno straordinario romanzo breve che
conquistò i suoi lettori.
liberamente tratto dal web
domenica 24 marzo 2019
Molto forte, incredibilmente vicino di Jonathan Safran Foer
Jonathan Safran Foer (21.02.1977)
Foer è nato a Washington, D.C.,
figlio di Albert Foer, avvocato e presidente dell'American Antitrust Institute,
e di Esther Safran Foer, figlia di sopravvissuti all'olocausto in Polonia. Ha
frequentato la Princeton University, dove gli sono stati assegnati vari premi
di scrittura creativa, e prima di cominciare a scrivere ha frequentato per un
certo periodo la Mount Sinai School of Medicine. Nel 1999 si è spostato in Ucraina
per fare ricerche sulla vita di suo nonno. Questo viaggio ha ispirato il suo
romanzo d'esordio, intitolato Ogni cosa è
illuminata, dal quale è stato tratto un film nel 2005. Anche dal suo
secondo romanzo Molto forte,
incredibilmente vicino è stato tratto un film che ha riscosso un notevole
successo. Foer ha poi scritto Se niente
importa, in cui descrive l'impatto ambientale degli allevamenti intensivi,
le sofferenze patite dagli animali da macello e la sua decisione di diventare
vegetariano. Nel novembre 2010 ha pubblicato Tree Of Codes, un'opera
realizzata ritagliando parole di un libro già esistente (The street of
crocodiles di bruno Schulz) e nel 2016 il suo nuovo romanzo Eccomi.
Trama
Molto forte, incredibilmente
vicino è stato uno dei primi romanzi ad affrontare il tema degli attacchi
terroristici dell'11 settembre. Il libro interseca sostanzialmente due storie
che si alternano: quella di Oskar Schell un ragazzino di nove anni e dei suoi
nonni paterni. Oskar ha un dolore incolmabile: ha perso il padre,
Thomas, nell'attentato alle torri gemelle dell' 11 settembre 2001. Oskar
è un ragazzo sveglio, creativito, fantasioso, sensibile e curioso. Frugando nel
ripostiglio del padre, dentro ad un vaso trova una chiave con una scritta:
Black. Si mette a cercare tutti i Black di New York per sapere a chi appartenga
e cosa apra. Organizza i nomi in un elenco, divisi per quartieri e comincia a
far visita ad ognuno di loro. Dopo ricerche ed incontri strani verrà a capo dell'apparente
e banale mistero. Più complesso l'intreccio della storia dei nonni. Oskar vive
con la madre Linda e la nonna paterna. Il nonno paterno non l'ha mai conosciuto
così come Thomas non aveva mai conosciuto suo padre. La nonna di Oskar era
emigrata in America dalla Germania poco dopo la fine della seconda guerra
mondiale. Qualche mese dopo il suo arrivo, camminando per New York, aveva
incontrato, per caso, il fidanzato della sorella Anna morta a Dresda in un
bombardamento. L'uomo, distrutto da quella perdita, aveva smesso di parlare e comunicava
solo scrivendo sui diari e mostrando i palmi delle mani su cui ha tatuato le
parole "SI" e "NO". La donna gli chiede insistentemente di
sposarla. Lui è riluttante ma acconsente stabilendo rigide regole di convivenza
e delimitando con delle strisce sul pavimento gli spazi della casa ciascuno
destinata ad una precisa funzione. Lei però desidera un bambino e alla fine
rimane incinta ma fa di tutto per nasconderlo. Quando costretta dai tempi,
glielo comunica, lui non regge e fugge. Solo decenni dopo, quando troverà tra
l'elenco delle vittime delle torri il nome del figlio, si ripresenta alla porta
della moglie. Lei è turbata ma non lo scaccia, lo costringe però a rimanere in
incognito nell'appartamento, come "l'inquilino" e gli fa promettere
di non farsi vedere e soprattutto di non farsi riconoscere dal nipote. I due
però finiscono casualmente per incontrarsi. La vita è più spaventosa della
morte" confesserà in incognito all'ignaro nipote davanti alla bara vuota
del figlio, riesumata da entrambi di nascosto una notte, e che riempirà con le
centinaia di lettere che gli aveva scritto e mai spedite.
Liberamente tratto dal web
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