giovedì 6 ottobre 2016

Ancora su: Il Cavallo Rosso


Come si può parlare in poche righe di un romanzo come Il Cavallo Rosso che in centinaia di pagine di scrittura fluida e amena disegna uno dei capitoli più complessi e affascinanti del nostro paese?
Fin dalle prime pagine si entra in contatto con un mosaico di protagonisti: Ambrogio e Stefano con le loro famiglie, Manno, Michele, Pierello, don Mario, Marietta delle spole, e tutti i personaggi che animano Nomana (nella realtà Besana Brianza, paese natale dell'autore) nel 1941, alla vigilia della chiamata alle armi dei ragazzi del 1921.
Seguiamo i ragazzi che partono per il fronte: nel corso della storia i personaggi si separano, mantengono i contatti tra loro, fanno nuove amicizie, si trovano ad affrontare fatiche disumane come la ritirata di Russia o i combattimenti sulla linea gotica, le barbarità della guerra e la brutalità della morte ingiusta di molti giovani. Colpisce la carica di umanità e di compassione per la sofferenza umana con cui i protagonisti vivono il rapporto con i loro compagni d'armi, i loro sottoposti e superiori o semplicemente con i soldati o i civili che incontrano nel corso della guerra. Una carica che abbiamo sentito come nostra perché, chi più chi meno, l'abbiamo riconosciuta come appartenente ai nostri padri e ai nostri nonni, e questo ci ha fatto affezionare ai personaggi come ad amici veri.
Dopo la guerra e il ritorno al paese inizia la tappa della ricostruzione, non solo economica ma anche sociale e familiare: i nostri protagonisti formano nuove famiglie, ampliano le conoscenze, si aprono prospettive di lavoro, affrontano e si impegnano nelle sfide della seconda metà del XX secolo in Italia: la crisi economica del dopoguerra, l'avvento della repubblica, la crisi dei valori nel 1968 fino al referendum sul divorzio nel 1974. Tutto con una speranza di fondo, caratteristica propria dell'autore, che li porta ad impegnarsi per affermare i valori cristiani, radicati nel loro cuore e nella loro mente fin da bambini.
Come ci ha raccontato la giornalista Paola Scaglione, grande esperta italiana, amica di Eugenio Corti e ospite graditissima della nostra serata, Eugenio Corti ha il pregio di raccontare solo storie vere: tutto ciò che descrive risale ad un fatto vero, vissuto da protagonista o raccontato da testimoni. L'esempio emerso, struggente, è quello della morte del Capitano Grandi nel corso della ritirata di Russia, accompagnato dai suoi alpini che cantano "Il testamento del Capitano" fino a che si rendono conto che Grandi è morto. Tutto è descritto con attenzione minuziosa al fatto reale, senza pesantezze linguistiche, così che il lettore non solo assiste, ma vive la scena.
Questa veridicità, quasi verificabilità, fa sì che Corti riesca a toccare con eleganza e delicatezza tutte le corde dei cuori dei lettori, coinvolgendoli nelle vicende che racconta, ed è forse uno dei fattori che trasforma questo libro in un classico.
L.

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