martedì 10 dicembre 2024

Il pastore d'Islanda di Gunnar Gunnarsson

Gunnar Gunnarsson (Fljótsdalur, 18 maggio 1889 – Reykjavík, 21 novembre 1975)

Nato da una famiglia di contadini, si trasferì da giovane in Danimarca per completare i suoi studi e là iniziò la sua attività letteraria. Dopo l'esordio con la saga La famiglia di Borg (1914), produsse i suoi capolavori: Beati i semplici (1920), Navi sul cielo (1925), La chiesa sulla montagna (1928), L'uccello nero (1929) e Il pastore d'Islanda (1936), il cui titolo originale era Avvento. Tornò nel suo paese d'origine alla vigilia della guerra, nel 1939. Le sue opere ottennero un grande successo anche in Germania, per la celebrazione idilliaca della natura islandese e dell'unità familiare e grazie alla loro notorietà furono tradotte anche in italiano all'inizio degli anni quaranta. Gunnarsson fu attivo nella Nordische Gesellschaft, promuovendo l'idea di un unico grande stato nordico. Nel 1936, in pieno regime nazista, ricevette la laurea ad honorem dall'università di Heidelberg. A causa del suo avvicinamento al partito Nazionalsocialista (è considerato l'unico islandese noto ad aver incontrato di persona Adolf Hitler), la sua fama iniziatò ad eclissarsi dopo la Seconda guerra mondiale ed è stato riscoperto solo negli ultimi anni, anche grazie allo scrittore islandese Jón Kalman Stefánsson, che lo ha spesso citato come uno dei suoi punti di riferimento.

Trama

Ogni anno, la prima domenica d’Avvento, Benedikt si mette in cammino per portare in salvo le pecore smarrite tra i monti, sfuggite ai raduni autunnali delle greggi. Nessuno osa sfidare il buio e il gelo dell’inverno islandese per accompagnarlo nella rischiosa missione, o meglio nessun uomo, perché Benedikt può sempre contare sull’aiuto dei suoi due amici più fedeli: il cane Leó e il montone Roccia. Comincia così il viaggio dell’inseparabile terzetto, la «santa trinità», come li chiamano in paese, attraverso l’immenso deserto bianco, contro la furia della tormenta che morde le membra e inghiotte i contorni del mondo, cancellando ogni certezza e ogni confine tra la terra e il cielo. È qui che Benedikt si sente al suo posto, tra i monti dove col tempo ha sepolto i suoi sogni insieme alla paura della morte e della vita, nella solitudine che è in realtà «la condizione stessa dell’esistenza», con il compito cui non può sottrarsi e che porta avanti fiducioso, in un continuo confronto con gli elementi e con se stesso, per riconquistare un senso alla dimensione umana.

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