Gunnar Gunnarsson (Fljótsdalur, 18 maggio 1889 – Reykjavík, 21 novembre 1975)
Nato
da una famiglia di contadini, si trasferì da giovane in Danimarca per
completare i suoi studi e là iniziò la sua attività letteraria. Dopo l'esordio
con la saga La famiglia di Borg (1914), produsse i suoi
capolavori: Beati i semplici (1920), Navi sul cielo (1925), La
chiesa sulla montagna (1928), L'uccello nero (1929)
e Il pastore d'Islanda (1936), il cui titolo originale
era Avvento. Tornò nel suo paese d'origine alla vigilia della
guerra, nel 1939. Le sue opere ottennero un grande successo anche
in Germania, per la celebrazione idilliaca della natura islandese e
dell'unità familiare e grazie alla loro notorietà furono tradotte anche
in italiano all'inizio degli anni quaranta. Gunnarsson fu attivo
nella Nordische Gesellschaft, promuovendo l'idea di un unico grande stato
nordico. Nel 1936, in pieno regime nazista, ricevette la laurea ad honorem
dall'università di Heidelberg. A causa del suo avvicinamento al partito
Nazionalsocialista (è considerato l'unico islandese noto ad aver incontrato di
persona Adolf Hitler), la sua fama iniziatò ad eclissarsi dopo la Seconda
guerra mondiale ed è stato riscoperto solo negli ultimi anni, anche grazie allo
scrittore islandese Jón Kalman Stefánsson, che lo ha spesso citato come uno dei
suoi punti di riferimento.
Trama
Ogni
anno, la prima domenica d’Avvento, Benedikt si mette in cammino per portare in
salvo le pecore smarrite tra i monti, sfuggite ai raduni autunnali delle
greggi. Nessuno osa sfidare il buio e il gelo dell’inverno islandese per
accompagnarlo nella rischiosa missione, o meglio nessun uomo, perché Benedikt
può sempre contare sull’aiuto dei suoi due amici più fedeli: il cane Leó e il
montone Roccia. Comincia così il viaggio dell’inseparabile terzetto, la «santa
trinità», come li chiamano in paese, attraverso l’immenso deserto bianco,
contro la furia della tormenta che morde le membra e inghiotte i contorni del
mondo, cancellando ogni certezza e ogni confine tra la terra e il cielo. È qui
che Benedikt si sente al suo posto, tra i monti dove col tempo ha sepolto i
suoi sogni insieme alla paura della morte e della vita, nella solitudine che è
in realtà «la condizione stessa dell’esistenza», con il compito cui non può
sottrarsi e che porta avanti fiducioso, in un continuo confronto con gli
elementi e con se stesso, per riconquistare un senso alla dimensione umana.
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